La Repubblica
Apparso il 20 Marzo 2014 – di Lucio Luca
Per il terzo anno anche la delegazione siciliana con i mille studenti invitati nel Palazzo di Vetro per una settimana: progetti, relazioni, risoluzioni. E il sogno della carriera diplomatica
NEW YORK – Dalla Sicilia al Palazzo di Vetro con un sogno: occuparsi di diritti umani, contribuire con le proprie idee a cambiare i destini del mondo. Troppo? Probabilmente sì, ma chi non sogna a 16 anni? Sono in mille gli studenti provenienti da tutto il pianeta che da oggi – e per una settimana – “invaderanno” le Nazioni Unite trasformandosi in ambasciatori in erba. La delegazione più numerosa, come sempre, arriva proprio dalla Sicilia, anche perché l’associazione che organizza questo “tour” di studio e divertimento è catanese. Si chiama “I diplomatici” e punta a formare una nuova classe dirigente più attenta ai bisogni del mondo che agli interessi economici dei paesi leader.
Per il terzo anno consecutivo, i ragazzi sono arrivati dall’Europa e dall’Australia, dalle Americhe e dall’Asia, dopo aver superato decine di test e selezioni nelle loro scuole e Università. Per qualche ora si sono anche seduti nella Sala Grande del Palazzo di Vetro, proprio dove solitamente prendono posto i rappresentanti dei 200 paesi che aderiscono alle Nazioni Unite. Hanno ascoltato, tra gli altri, l’ambasciatore permanente italiano Sebastiano Cardi, la cofondatrice di San Patrignano Letizia Moratti, il direttore di Limes Lucio Caracciolo, il rappresentate della Segreteria generale dell’Onu Ahmad Alhendawi. Quest’anno il tema è quello delle “Relazioni fra diritti umani e infrastrutture tecnologiche”, la Rete al servizio di chi soffre negli angoli più remoti del mondo. Punto centrale proprio della relazione di Lucio Caracciolo che per gli studenti rappresenta una traccia dell’intera settimana newyorchese di studi.
Giacca e cravatta per i ragazzi, tailleur scuro per le studentesse, cartellino in bell’evidenza e carpetta sotto braccio, sembrano davvero dei diplomatici delle Nazioni Unite. Certo, molti di loro hanno 16-17 anni, i più grandi poco più di una ventina. Ma il piglio e la determinazione che ci mettono non ha niente da invidiare ai “colleghi” veri. Basta origliare dietro le stanze del grande albergo di Manhattan che li ospita. Lì i mille di “Change The World” simulano Consigli di Sicurezza e riunioni di Commissione. Preparano risoluzioni, parlano di Siria e Ucraina, “litigano” per far passare le loro idee. Certo, dopo le lunghe giornate di lavoro fanno un salto in stanza, si cambiano e la sera puoi trovarli nei locali di Chelsea o Brooklyn a ballare assieme ai coetanei americani. Ma difficilmente fanno tardi la notte, perché la mattina successiva si ricomincia presto a “lavorare” per la diplomazia.
“Qui a New York sembra di vivere in un videogioco”, ride Francesco, 18 anni, catanese. “Con gli altri ragazzi mi trovo bene, siamo affiatati e molto interessati alle cose che discutiamo”. “Nella mia commissione ci stiamo occupando di diritti negati, soprattutto ai bambini – spiega Giulia, 16 anni, palermitana – I grandi del mondo parlano, lanciano appelli e allarmi, fanno promesse. Ma nella realtà la sostanza è ben diversa. Eppure con i mezzi tecnologici che esistono, davvero si potrebbe cambiare il destino di milioni e milioni di persone”.
Alla fine della settimana, una commissione di esperti giudicherà il lavoro dei ragazzi, eleggerà la “best delegation”, premierà le migliori risoluzioni presentate. “Change the World è sicuramente una simulazione, ma sui diritti umani nessuno di noi ha voglia di scherzare”, interviene Carlotta, di Trecastagni, 17 anni. “E poi, chi lo dice che da giovani come noi non possano arrivare proposte in grado di interessare anche gli ambasciatori veri?”.
Visibilmente soddisfatto Claudio Corbino, presidente dell’Associazione “I diplomatici” che ebbe l’idea di realizzare il sogno di portare gli studenti all’Onu durante una serata con gli amici di Catania e adesso è già alla terza edizione della manifestazione: “La nostra associazione si occupa di formazione d’alto livello e la possibilità di confrontarsi in un contesto così importante è per i nostri ragazzi sicuramente il modo migliore per crescere culturalmente e professionalmente. Siamo particolarmente orgogliosi – continua Corbino – perché i ragazzi sono entusiasti di questa esperienza. Per noi è l’ideale seguito di un percorso formativo che si sviluppa discutendo sui temi legati ai diritti umani. La formazione all’estero non può essere pensata come fuga, ma deve essere vissuta come momento di crescita. Bisogna partire, ma anche ritornare portando con sé nuove idee”.
La speranza, come sempre, è quella che qualcuno di questi studenti, un giorno, possa tornare a New York, magari proprio con un ruolo da diplomatico: “E’ già successo – conclude Corbino – e per noi questa sarebbe la soddisfazione più grande. In ogni caso siamo sicuri che nessuno di questi ragazzi dimenticherà una settimana così piena di emozioni”
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