Silvia Nicolini, 32 anni, è una giovane insegnante di inglese che da due anni e mezzo lavora al Collegio Don Bosco di Borgomanero. L’amore per il suo lavoro e l’ottimo rapporto con i suoi studenti, nel novembre 2017, l’hanno portata ad Abu Dhabi per il Change the World Model UN Emirates. Il suo è un mestiere importante e faticoso al tempo stesso ma che affronta con tutto l’entusiasmo e la freschezza della sua età.
Lei è molto giovane, se avesse potuto avrebbe partecipato ad uno dei progetti di Diplomatici?
Assolutamente si, se ne avessi avuto l’opportunità l’averi fatto subito, prima di tutto per l’interesse che ho per questo tipo di iniziative e poi perché sarebbe stato un bel modo per mettersi in gioco. Quando ero una studentessa ero molto timida, un’esperienza del genere mi avrebbe resa sicuramente più spigliata e sicura di me stessa. Quest’anno per la prima volta ho potuto vivere l’esperienza della simulazione ed è strata meravigliosa.
A quale progetto di Diplomatici ha partecipato?
Io, almeno per ora, sono stata solo al CWMUN Emirates ma i nostri studenti hanno partecipato anche al Change the World di New York ed a Democracy, la simulazione del Parlamento italiano a Roma.
Quanti studenti partecipano in media?
La nostra è una grandissima scuola ma gli studenti sono molto incuriositi dalle iniziative proposte da Associazione Diplomatici. Negli Emirati ad esempio eravamo in otto.
Quanto è importante e quanto può essere costruttivo per un professore, vivere un’esperienza simile con i propri studenti?
Ha un valore enorme, la nostra esperienza negli Emirati è stata meravigliosa. Siamo partiti che avevamo già un ottimo rapporto ma ad Abu Dhabi si è creato di qualcosa di ancora più profondo, è nato un rapporto di ancor più grande rispetto e stima reciproca. È stato bellissimo, li ho visti sbocciare.
Lei insegna inglese, il suo ruolo sarà stato fondamentale per loro
Si, assolutamente. Il primo giorno di simulazione, prima dell’insediamento di tutti gli studenti nelle diverse commissioni, ho rivisto gli speech di ognuno di loro anche per infondere un po’ coraggio. La verità è che, giustamente, non vogliono sfigurare. Si devono confrontare con degli studenti, spesso anche madrelingua, che sono abituati a parlare in pubblico. Molti dei nostri studenti quando tornano dalla prima esperienza di simulazione poi vogliono ripeterla l’anno dopo per essere più preparati. Finché non sono lì non possono capire la difficoltà della simulazione.
Il meccanismo della simulazione è molto complesso, come se la sono cavata i suoi studenti?
Onestamente devo dire che sono stati molto bravi. Inoltre, quest’anno sono partita con tutti ragazzi ripartenti che erano già stati a New York, tranne due, che infatti sono rimasti letteralmente sconvolti! C’erano moltissimi ragazzi indiani che erano bravissimi, una capacità di espressione e una capacità di dibattere davvero impressionanti per dei ragazzi di 15 anni e tutto questo ha solo stimolato i nostri ragazzi a dare il meglio.
Secondo Lei qual è il punto di forza di questi progetti?
I ragazzi tornano più sicuri e più arricchiti. Noi a scuola stiamo promuovendo l’iniziativa non solo per il suo valore linguistico ma anche come un’esperienza orientativa, è stato bello vederli all’opera. Hanno scoperto lati nascosti di se stessi, doti che non sapevano di avere, capiscono se questa può essere la loro strada ma soprattutto capiscono come va il mondo. In definitiva no, non credo ci sia un punto in particolare, penso che la forza del progetto sia insita nella totalità dell’esperienza.
Gli studenti quale progetto preferiscono? New York o Abu Dhabi?
Sono piaciuti tutti e due ma in maniera diversa, inoltre molti dei nostri studenti hanno partecipato ad entrambe le simulazioni. New York colpisce sia per la città che ovviamente per la location della simulazione (il Palazzo di Vetro dell’ONU); ad Abu Dhabi, invece, la simulazione si svolge in maniera meno “caotica”, è composta da meno persone per cui è più facile partecipare, anche se si è un po’ timidi. Poi negli Emirati hanno apprezzato soprattutto il confronto con studenti di nazionalità e culture davvero molto distanti da noi.
Da insegnante di inglese, ha avuto dei consigli particolari ?
Nel periodo di preparazione (ma in realtà lo faccio sempre e a prescindere) ho consigliato loro di leggere molto, sia siti internazionali che giornali di attualità, per cercare di essere sicuri nell’utilizzo di un lessico specifico che difficilmente si acquisisce in poco tempo e soprattutto non viene insegnato a livello scolastico. Ho detto loro di non farsi trattenere dalle loro paure, che se avevano deciso di partecipare era giusto che vivessero l’esperienza a 360°, di partecipare attivamente alla simulazione ma soprattutto di stare tranquilli anche perché è proprio sbagliando che si impara.
Oggi invece, che consiglio vuole dare ai suoi studenti?
Sono sempre stata convinta che il buon insegnante sia colui che trasmette agli allievi non solo nozioni, ma soprattutto un metodo per imparare a organizzare il sapere e a ragionare. Aiutare gli studenti a trovare una loro prospettiva del mondo è la mia missione e consiglio loro di essere sempre curiosi e appassionati.