diventare Ambasciatrice ONU

CWMUN New York, Martina: «Oggi sogno di diventare Ambasciatrice ONU»

Change the World New York: l’esperienza di Martina Monti, studentessa di Giurisprudenza all’Università LUISS Guido Carli di Roma.

Oggi Martina ha 23 anni, ma quando ha partecipato al CWMUN New York frequentava ancora il liceo classico nella sua città d’origine, Palermo. «Ricordo che i professori ci invitarono in Aula Magna e che guardammo un video di presentazione di CWMUN. Il video non era ancora finito, eppure avevo già capito che era proprio il tipo di esperienza che volevo fare. Me la sono sempre cavata con l’inglese e decisi di tuffarmi in quest’avventura per scoprire un nuovo mondo e una nuova città, New York».

Rompere il ghiaccio

Quando è arrivata a New York, nel marzo 2015, nonostante i mesi di preparazione alle spalle, Martina si sentiva smarrita. Aveva 16 anni, rappresentava la Repubblica Democratica del Congo e si sentiva piccola seduta in quella sala gigantesca durante la Cerimonia di apertura. «Se ci ripenso mi dico: le cose belle all’inizio fanno sempre un po’ paura. Ma alla fine del primo giorno di lavori mi sentivo già sollevata…avevo capito quale fosse “il mio posto nel mondo”. I dibattiti, gli scambi di opinione a volte anche accesi, la responsabilità di rappresentare un Paese così diverso dal mio…tutto così eccitante! Capii che avevo voglia di ripetere l’esperienza ancora e ancora. Mi piaceva l’idea di poter far sentire la mia voce, di condividere la mia opinione».

Melting-pot

Chiediamo a Martina quale aspetto dell’esperienza ha apprezzato maggiormente: «Il confronto con ragazzi della mia età provenienti dai più disparati luoghi del mondo. L’atmosfera multiculturale, le visioni diverse del mondo…credo sia questo che trovai più stimolante».

E dopo CWMUN?

«L’esperienza a New York ha fortemente inciso sulle mie scelte future. Da quel giorno di marzo 2015 in cui chiamai mia madre dicendo “Questo è quello che voglio fare per il resto della mia vita” sono passati quasi 7 anni. Ho partecipato a molti altri CWMUN come studentessa, e oggi collaboro con Associazione Diplomatici supportando gli studenti come Tutor Didattico. Posso certamente dire che senza il primo CWMUN, non avrei scelto di studiare Giurisprudenza o di specializzarmi in Diritto Internazionale».

Perché partecipare al Change the World?

«Lo consiglio per vari motivi, sia a livello didattico che umano.

In primo luogo, CWMUN è un’esperienza che ti spinge oltre i tuoi limiti: ricordo quanto volessi finire in fretta i compiti per potermi dedicare alle ricerche sul Paese che mi era stato assegnato perché non ero certa di essere abbastanza preparata. Quanta paura avessi di parlare ad un pubblico così ampio, in una lingua che non era la mia. Ero un’adolescente un po’ impaurita che non aveva idea di cosa fare dopo il Diploma. Ho capito che con il duro lavoro potevo raggiungere grandi obiettivi e fare esperienze straordinarie.

Poi c’è il lato umano di CWMUN. Non è difficile immaginare quanti nuovi legami si stringono tra compagni di viaggio. Ricordi speciali che porti per sempre. Posso dire di avere stretto legami che ancora oggi durano nel tempo. Lo stesso si può dire della relazione con i Tutor. Ai miei occhi loro sono sempre stati figure da rispettare ma mai da temere, molto diversi dai professori che avevo a scuola. Li vedevo come amici più grandi in grado di darmi consigli e trasmettermi giuste dosi di esperienza che mi hanno aiutata a crescere».

Il futuro

«Cosa voglio fare da grande? “Da grande” è un momento che si avvicina sempre di più per me, ormai manca poco al fatidico momento della Laurea.

Quello che mi piacerebbe fare, una volta conseguito il titolo, è seguire un Master per preparami al Concorso Diplomatico. Si, l’Ambasciatrice italiana presso le Nazioni Unite: è questo che vorrei fare (e CWMUN mi ha visceralmente influenzata)».

Il futuro di Rocco? La carriera diplomatica a New York

Ha cominciato da qualche giorno il suo percorso universitario in Giurisprudenza e grazie alle esperienze vissute con CWMUN New York ed Emirates il diciannovenne Rocco Pignataro ha già le idee chiare su cosa vuole dal futuro.

«Grazie a queste esperienze ho capito che la mia strada è quella della carriera diplomatica – dice subito Rocco – I due progetti sono molto diversi tra loro – aggiunge – quello negli Emirati sicuramente è più esotico per la località, mentre quello di New York è più affascinante per il fatto stesso di trovarsi in America e di poter entrare nel palazzo di vetro, uno dei posti più importanti quando si parla di geopolitica e politica internazionale».

A distanza di pochi mesi Rocco, che ha avuto la menzione d’onore a New York, dove rappresentava gli Emirati Arabi, li ha vissuti entrambi. «Ho deciso di rimettermi alla prova perché volevo provare un’esperienza simile a quella di New York e la località orientale mi affascinava particolarmente. Gli aspetti positivi sono molti simili: trovarsi all’interno di una simulazione con persone che vengono da tutte le parti del mondo, la possibilità di mettersi alla prova e sperimentare le proprie capacità di public speaking e di saper trovare soluzioni».

Nessun timore per Rocco. «Per New York ero molto motivato perché stavo andando ad affrontare un’esperienza totalmente nuova, ma anche per Emirates ero altrettanto motivato. A New York ho imparato a saper parlare di fronte a un pubblico ampio e variegato a livello di nazionalità, mentre a Dubai ho messo in pratica quello che avevo imparato dalla prima esperienza. Il momento più bello per la prima esperienza ovviamente è stato quello della premiazione, mentre ad Abu Dhabi e Dubai è stata senza dubbio la gita nel deserto».

Se dovesse fare le valigie e stabilirsi in una delle due location, comunque, Rocco sceglierebbe la caotica New York. «La adoro come città e so già che offre numerosi sbocchi nel mio campo».

La grinta di Paola tra New York e gli Emirati Arabi

«Dopo CWMUN New York ho avuto la conferma che la strada del diritto internazionale fosse quella che mi appassionava di più e ho voluto avere un’ulteriore conferma partecipando a CWMUN Emirates». Sembra già una giovane professionista del settore Paola Trombetta, 19 anni, iscritta al primo anno di Giurisprudenza. Capelli biondi, occhi azzurri, tailleur e tacchi per affrontare con la giusta grinta i colleghi, giovani aspiranti diplomatici, all’assemblea generale.

«Le tematiche trattate a New York e Abu Dhabi per certi versi coincidono – racconta la ragazza – ma il cambio di location fa tanto. Negli Emirati c’è una difficoltà in più, dovuta al fatto che ti relazioni con un clima diverso rispetto a quello di New York. Il fatto che le conferenze siano più contenute, però, può rendere l’esperienza negli Emirati un ottimo trampolino di lancio per prepararsi a quella alle Nazioni Unite e per acquisire competenze, crescere e superare alcuni limiti come la timidezza».

Le aspettative pre partenza di Paola sono state diverse per le due esperienze: «tutti hanno sognato almeno una volta di essere a New York, gli Emirati è meno comune o comunque lo è da meno tempo».

Le paure, invece, sono quelle condivise da tutti: «la paura di non farcela, di non riuscire a farmi capire o di non capire io stessa gli altri, sia per l’inglese che per le competenze che avevo prima del progetto. Ma dopo averlo fatto la prima volta a New York, negli Emirati è stato più facile affrontare tutto il processo».

Cosa ha imparato? «A superare tantissimi limiti personali, come funziona realmente una conferenza all’ONU, che lavoro è quello del diplomatico e tutte le dinamiche legate alle Nazioni Unite. Il momento più bello di New York è stato sicuramente quello della cerimonia di chiusura con il discorso di Giuseppe Ayala, uno dei miei ospiti preferiti, mentre negli Emirati il momento turistico in cui abbiamo assistito allo spettacolo delle fontane, suggestivo e diverso da tutto quello che si trova in America. Durante la gita nel deserto, tra l’altro, abbiamo avuto la possibilità di entrare in contatto con le tradizioni locali: dai piatti tipici al tatuaggio all’henné alla danza del ventre e ho scoperto che valgo un sacco di cammelli – scherza Paola – mentre a New York non ci sono tante tradizioni, la vita di Manhattan è abbastanza frenetica, ma decisamente più simile alla nostra».

E per questo, se dovesse scegliere, la preferirebbe a Dubai. «È una grande metropoli e sarebbe più indicata per la mia vita lavorativa, a parte il fatto che mi affascina di più, conosco la lingua e le tradizioni sono più simili alle nostre. Voglio intraprendere la strada del diritto, anche se ancora non so se vorrò approfondire il diritto legato più al mondo della diplomazia, quello internazionale o più vicino al marketing. Ho un lungo percorso da affrontare, deciderò strada facendo».

Tra New York e gli Emirati Arabi, l’esperienza di Maria Stella a CWMUN

«L’aspetto più emozionante di CWMUN New York è stata la sede in cui si è svolta la conferenza, il palazzo dell’ONU, ma il progetto che mi è rimasto nel cuore è stato quello negli Emirati Arabi, soprattutto per i temi che abbiamo trattato durante le giornate di lavori – il clima e il turismo ecosostenibile – che sento molto vicini».

Maria Stella Spampinato, 17 anni, è una delegata che ha partecipato ai Change the World che si sono svolti nel 2018 a New York e negli Emirati Arabi. «Essendo la prima volta che partecipavo, da New York non sapevo bene cosa aspettarmi. Ma tutti i dubbi sono stati chiariti prima ancora della partenza grazie alle lezioni che ci hanno dato a Catania, che ci hanno preparato adeguatamente su tutti gli aspetti del progetto. E ho scelto di ripartire dopo qualche mese perché trovavo interessante e stimolante il progetto negli Emirati, e così è stato. Senza precluderci, tra l’altro, un lato più ludico, quello legato al turismo, che ci ha fatto passare momenti indimenticabili insieme».

Niente viaggi, bandiere e Paesi stranieri nel futuro di Maria Stella, che da grande sogna di diventare chirurgo. «Non c’entra con questo ambito, ma queste esperienze sono state altamente formative per me e hanno arricchito tanto il mio bagaglio culturale».

È una voce fuori dal coro Maria Stella, che tra le due location sceglierebbe di trasferirsi proprio negli Emirati. «È un mondo nuovo, potremmo definirlo “la nuova America”, e mi piacerebbe vivere lì, dove ho imparato a relazionarmi con persone provenienti da una cultura totalmente differente dalla mia e a superare la paura di parlare a un vasto pubblico, specialmente in inglese».

Del progetto di New York resterà indimenticabile il momento del primo speech, mentre a Dubai la gita nel deserto, che ha permesso ai ragazzi di rapportarsi da vicino con le persone del posto. «A proposito di questo sono ancora in contatto con un ragazzo di Dubai che partecipava al progetto e che era nella mia delegazione. Una persona che mi ha fatto scoprire una cultura che mi era completamente estranea. E che non è quella islamica che ci possiamo aspettare, perché stiamo parlando di una grande città dove troviamo una mescolanza di popoli occidentali e orientali e dove forse, un giorno, ci sarò anch’io».

Manfredi, sulla strada giusta per la carriera internazionale

A 16 anni, quando frequentava il quarto anno al Galileo Galilei di Catania, ha deciso di lanciarsi in una nuova esperienza che gli avrebbe indicato – ma questo lo avrebbe scoperto solo dopo – la strada da seguire per il suo futuro: CWMUN New York. Manfredi Magnano di anni oggi ne ha 20 e continua a coltivare quella che da sempre è la sua passione: la geopolitica e lo studio approfondito delle dinamiche che regolano guerre e conflitti.

«Quando ero a scuola ho scoperto del progetto di Associazione Diplomatici tramite un mio compagno di classe che aveva partecipato quando era ancora alle medie e me ne aveva parlato bene – racconta Manfredi. Una persona molto seria, che oggi studia alla Boston University, di cui mi sono fidato ciecamente».

Prima di iscriversi a CWMUN Manfredi è entrato in contatto con l’associazione, partecipando a seminari e conferenze che lo hanno formato su geopolitica, politica internazionale e diplomazia. «Questi incontri sono stati molto stimolanti, così come la possibilità di poter andare al quartier generale delle Nazioni Unite, che ha fatto sicuramente la sua parte. E come la possibilità di ottenere una borsa di studio, che ho vinto dopo aver sostenuto il colloquio motivazionale».

«Ero motivatissimo – aggiunge – ho partecipato al Global Affairs Course e ai seminari preparatori con Lucio Caracciolo, Giuseppe Scognamiglio e Stefania Paradisi, dei veri esempi di vita per me e per i miei compagni di avventura».

Al palazzo dell’Onu Manfredi ha rappresentato il Brasile. «Ai tempi non avevo un livello alto di inglese – dice per rassicurare gli aspiranti partecipanti – ma fui molto stimolato specialmente dagli studenti esteri, che erano preparatissimi, sembravano dei veri diplomatici».

E quando è tornato in Italia, a esperienza conclusa, è rimasto molto vicino all’associazione. «Mi affascina molto questo mondo e inoltre i giornali Ispi, EastWest e Limes, che sono partner dei Diplomatici, sono in assoluto tra i miei preferiti. Ancora, a distanza di quattro anni, li leggo con molto interesse».

Manfredi consiglierebbe a tutti i giovani studenti questa esperienza, soprattutto a chi ha una passione come la sua per questo settore. «Mi ha formato tantissimo e mi ha insegnato cosa sono la geopolitica e la politica internazionale. È stata una delle mie prime vere esperienze internazionali, in cui ho avuto la possibilità di confrontarmi con altre culture. E ora sono uno studente internazionale a tutti gli effetti. Questa esperienza, infatti, mi ha spinto a entrare all’Università in Olanda, studiare relazioni internazionali e lavorare, in futuro, nel settore della sicurezza internazionale».

L’intervista a Maria Chiara Sidori, Dirigente Scolastico dell’Istituto Villa Flaminia

Nasce come docente di latino e greco e dopo una lunga esperienza in aula, la Prof.ssa Maria Chiara Sidori, dal 1992 è Dirigente Scolastico dell’Istituto Paritario Villa Flaminia, a Roma.


Come mai ha deciso di aderire ai progetti di Associazione Diplomatici e da quanto tempo i suoi studenti partecipano?

Ho conosciuto Associazione Diplomatici più di dieci anni fa e sono rimasta subito colpita dall’entusiasmo e dalla concretezza del progetto dell’avvocato Claudio Corbino, Presidente di Associazione Diplomatici. Ho subito colto la valenza formativa, più che gli aspetti della didattica, che poteva nascere da questo rapporto con l’Associazione.

 

 

Data la Sua esperienza di docente prima ancora che di Dirigente Scolastico, perché pensa che i progetti di Associazione Diplomatici siano formativi ed in particolare cosa la colpisce di più?

Mi piaceva molto l’idea che gli studenti fossero traghettati in una realtà così importante, come quella delle Nazioni Unite ad esempio, per la prima volta non come “vittime” che subissero un meccanismo degli adulti ma come protagonisti. Questo era il segnale nuovo, da un punto di vista educativo, che Diplomatici ci stava trasmettendo. Smettere di formare i ragazzi dall’alto ma renderli protagonisti e partecipi dell’azione e da questa suggestione poi sono nati tutti gli altri progetti che sono sfociati alla fine, due anni fa, nella redazione addirittura di un piano di alternanza scuola lavoro.

 

Sono molti gli studenti del Villa Flaminia che partecipano ogni anno alle iniziative di Associazione Diplomatici?

Si, una media di circa 20/30 studenti a progetto. Una media, quindi vuol dire che un anno possono partire anche 50/60 ragazzi. Posso dirle con certezza che l’anno scorso siamo stati la scuola che ha avuto il maggior numero di partecipanti al Change the World New York City. I ragazzi sono tornati entusiasti, un vero successo.

 

Il progetto arricchisce i ragazzi sicuramente da un punto di vista personale ma ai fini scolastici in che modo può influire? Quelli affrontati durante le simulazioni di Associazione Diplomatici, sono temi che normalmente vengono affrontati anche a scuola?

Tre anni fa abbiamo introdotto una nuova materia a scuola che si chiama Global Perspective. Rientra pienamente nel meccanismo di Associazione Diplomatici e per noi è un riscontro didattico. La scuola ha sposato un progetto esterno fondendosi in un’unica materia di insegnamento trasversale che non è una vera e propria materia ma è più un modo di affrontare i problemi di natura globale come ad esempio la siccità, il surriscaldamento del pianeta, etc.

 

Quest’anno durante il CWMUN di New York, l’ospite d’onore Bill Clinton ha parlato ai ragazzi di cooperazione, accoglienza dei migranti, la possibilità che Internet dà ai giovani di far sentire con più forza la loro voce. In che modo pensa sia istruttivo?

Il discorso di Clinton è stato meraviglioso, i miei docenti erano in collegamento con me su skype e l’ho seguito in diretta. Il discorso, il grande impatto emotivo soprattutto, è stato un po’ la sublimazione di questa public speaking che i ragazzi studiano a scuola e che in quell’occasione hanno vissuto sulla propria pelle da un personaggio come Clinton. Diciamolo, non capita tutti i giorni di potersi trovare nell’aula dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ad ascoltare l’ex Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton.

 

Lei ha mai partecipato a qualche evento di Associazione Diplomatici?

Purtroppo io non sono mai andata personalmente né al CWMUN ad Abu Dhabi né al CWMUN a New York ma curo tutto da qui. Ci sono però dei professori referenti, io cerco di cambiare accompagnatore ogni anno per poter rendere protagonista anche il professore in modo che non si fossilizzi tutta la dinamica su un’unica persona. Sono molto soddisfatta perché i docenti tornano con impressioni molto positive, si creano dei meccanismi di sinergia tra professori e studenti e questo giova molto alla scuola e all’andamento scolastico dei nostri ragazzi.

 

Com’è il rapporto tra L’Istituto Villa Flaminia e l’Associazione Diplomatici?

Siamo in una sintonia talmente naturale, la dinamica della nostra scuola, proprio perché così antica nel sodalizio con Diplomatici è una dinamica pioneristica. Ci troviamo sugli stessi temi non avendoli neanche studiati insieme e così i ragazzi arrivano preparati ai progetti. Sarà per questo che poi i nostri alunni sono motivati perché partecipano ai progetti con una competenza ed una consapevolezza maggiore. Una storia di grande successo.

Change the World Model UN e politica estera: i giovani, i veri protagonisti del domani

Chi ama la politica estera non può mancare all’appuntamento del Change The World Model UN (CWMUN), ed è questo il motivo per cui voi ragazzi siete qui oggi” – questo l’incipit con cui il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Angelino Alfano ha accolto gli oltre quattrocento delegates partecipanti alla sesta stagione del CWMUN. “Il vostro sogno e la ricerca che farete dentro voi stessi vi aiuterà a capire cosa vorrete fare della vostra vita e a realizzare in età adulta il sogno che oggi state costruendo. Un grande Papa ha detto che l’età adulta corrisponde alla realizzazione dei sogni della giovinezza. Il lavoro che state facendo grazie a Claudio Corbino, presidente dell’Associazione Diplomatici, è importante non solo come lavoro di ricerca ma è importante soprattutto da un punto vista esistenziale perché vi fa capire se quello che state studiando o affrontando vi piace o meno”.

La simulazione del CWMUN, riproduce il meccanismo degli organi delle Nazioni Unite ed è organizzata da Associazione Diplomatici, una ONG con status consultivo speciale presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite.

I lavori che si sono svolti a Roma dal 1 al 3 febbraio, ha visto coinvolti studenti provenienti da ogni angolo del mondo registrando un boom di iscrizioni straniere rispetto alle precedenti edizioni.

Alla cerimonia di apertura, tenutasi presso l’Aula dei Gruppi Parlamenti di Montecitorio, i delegates sono stati accolti dalle parole di Giuseppe Scognamiglio, Direttore della rivista di geopolitica EastWest, che hanno toccato temi come l’integrazione sociale e la lotta agli abusi, le opportunità di sviluppo economiche ed ha stimolato i ragazzi ad un dialogo aperto sulle prossime elezioni politiche in Italia.

Durante la prima giornata gli studenti, liceali ed universitari, sono stati suddivisi in 5 commissioni, che hanno rispettivamente trattato: l’United Nations Refugees Agency (UNHCR) sugli aiuti umanitari per i rifugiati; il Security Council A sul terrorismo internazionale; il Security Council B sulla situazione in Libia e per finire l’Office of the United Nations High Commissioner foto Human Rights (OHCHR) sui diritti umani e il cambiamento climatico per le scuole. La quinta commissione, il Security Council, composta esclusivamente da studenti universitari, ha trattato il tema della situazione nel Sudan del Sud.

A chiudere i lavori presso Università Europa di Roma, il Presidente del Future Leader Society Salvatore Carrubba, con l’assegnazione dei premi ai più meritevoli “delegates” che durante la simulazione si sono contraddistinti dimostrandosi più attenti, più preparati, più abili, ma soprattutto più appassionati.
 Dall’Albania al Costa Rica, dall’Egitto alla Russia, tutti i ragazzi hanno espresso un unico pensiero che si è tradotto in un “amazing experience” e secondo Claudio Corbino, Presidente di Associazione Diplomatici, i 400 delegates rappresentano “la più straordinaria generazione di uomini e donne della nuova società 4.0, capaci di interpretare le nuove esigenze del mondo per creare un futuro migliore”.

L’Onu tra guerre e profughi, ma i diplomatici sono ragazzini

LA STAMPA

apparso il 28 Novembre 2016

Ad Abu Dhabi 190 ragazzi si confrontano con i problemi del mondo

Vietnam, Yemen, Zambia, Zimbabwe… Ore 10 del mattino, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’appello dei 193 paesi membri è appena terminato e si apre la sessione sui rifugiati. A grande maggioranza viene stabilita la durata di un minuto a intervento. I delegati in severi tailleur e azzimati abiti da uomo si alternano sul palco: quei 60 milioni di rifugiati sparsi per il pianeta riguardano tutti. L’atmosfera è grave, solenne. Vera. Solo che non siamo nel Palazzo di Vetro di New York ma nell’aula magna della New York University di Abu Dhabi, dove 190 ragazzi dai 13 ai 26 anni si esercitano nell’arte somma della negoziazione simulando tensioni e inventando compromessi.

Benvenuti al «Change the World Model United Nations Emirates», il laboratorio formativo organizzato dall’Associazione Diplomatici che, unico nel suo genere, ha ricevuto l’ok a tenersi una volta l’anno nel quartier generale dell’Onu. New York dunque, ma chi manca quella simulazione può candidarsi a Roma, Barcellona, Bruxelles e Abu Dhabi. La formula è la stessa, tre giorni di full immersion nelle dinamiche geopolitiche che giocano (sul serio) a minacciare o scongiurare guerre.
È ancora l’eco sessantottina del mondo salvato dai ragazzini? Salvato magari no, ma salvabile forse sì. Perché a incrociare nei break questi studenti pakistani, indiani, arabi, spagnoli e italiani, con le emiratine che arrivano velate fino ai piedi e poi si rilassano ragionando di Siria insieme ai coetanei, viene da pensare che con tutti i suoi limiti l’idea delle Nazioni Unite resti il timone meno improbabile per navigare nel mondo grande e terribile. Specie se affidato ai più giovani.

La simulazione è più che verosimile. Prima di partire gli studenti trascorrono quattro mesi a studiare le crisi in corso e a calarsi nel Paese assegnato loro. Poi interpretano la parte, bisticciano, mediano. C’è la 23enne Lorenza Tartaglia che rappresenta la Malesia al Security Council e pur dovendo difendere la sua alleanza con i sauditi entra in crisi quando giunge la notizia dell’ennesimo bombardamento sui civili in Yemen. C’è la liceale palestinese Leyan el Saadi che all’Assemblea Generale veste i panni della Germania e auspica un soggiorno limitato per i profughi onde evitare scontri culturali. C’è il 13enne bengalese Aain Bajwa, deciso a difendere le ragioni del suo Cile facendo pressione per un resettlement dei rifugiati finanziato dall’Onu, e c’è Alessandro Pannozzo, 19 anni, universitario romano e sviluppatore di app, che spiega con la realpolitik la sua alleanza di kazako con la Cina.

Tutti diplomatici in erba? Non necessariamente. Leonardo Chiaria, 16 anni, detesta l’antipolitica e vorrebbe diventare senatore. La 13enne danese Dimitra Fulke s’immagina dottore. L’universitario Nelson Mallé Ndoye, uno degli italiani che è qui con una borsa di studio, vorrebbe fare teatro. Il Cwmun apre la testa, spiega il 14enne milanese Francesco Ciccardi: «Questo corso è un regalo di mia madre che ha investito su di me. Imparo, capisco, cresco».

E pensare che tutto è iniziato nel 2000, quando Claudio Corbino ha fondato l’Associazione Diplomatici e si è inventato questo laboratorio. «Il primo anno portai al Palazzo di Vetro 45 studenti, a oggi, senza sponsor pubblici né privati, ne abbiamo mobilitati 20 mila e l’Onu ci guarda con serietà» racconta schizzando da una sessione all’altra. La scorsa primavera la sua struttura, che nel frattempo ha assunto 87 ex partecipanti al corso, ha ottenuto lo status di osservatore permanente all’Ecosoc, il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite.
«Piccoli diplomatici crescono», scherza Antonio Volpe, professore di storia al liceo Virgilio di Meta. È uno degli accompagnatori: ha formato i ragazzi che ora formano lui.

Link all’articolo originale 

Diario CWMUN Emirates 2016

11 novembre

I ragazzi si sono divisi nelle varie aule e hanno simulato per tutto il giorno i lavori dell’Assemblea Generale, del Consiglio di Sicurezza, dell’Ecosoc (Economic and Social Council) parlando della risposta umanitaria da dare alla crisi dei rifugiati, dei conflitti in Siria, Yemen e Libia, del ruolo delle ONG in queste aree, della radicalizzazione dei più giovani, delle categorie più vulnerabili.

Nelle foto e nei brevi video che seguono ecco le espressioni, le aspettative e le motivazioni che uniscono tutti questi ragazzi che studiano e lavorano per rappresentare la classe dirigente di domani.

 

pict4

pict1

pict2

pict3




10 Novembre 2016

La diplomazia è l’architettura del mondo nuovo. Lo ha detto l’ambasciatore italiano ad Abu Dhabi Liborio Stellino nel suo intervento che ha aperto la terza edizione del CWMUN Emirates 2016. Circa trecento ragazzi, il 40 per cento in più dello scorso anno, provenienti da Italia, Spagna, Pakistan, Egitto, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Giordania, Francia (tanto per citare i Paesi più rappresentati) hanno affollato fin dal mattino i viali del bellissimo campus della New York University che ospita la conferenza. All’inaugurazione sono intervenuti il presidente dell’ Associazione Dplomatici Claudio Corbino, il presidente dell’International board Salvatore Carrubba, il Goodwill Ambassador e Campione del mondo di calcio 1982 Marco Tardelli, il Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Sicilia Claudio Zucchelli.
Studenti ed advisors insieme alla NYU per la cerimonia di apertura del CWMUN Emirates 2016

Studenti ed advisors insieme alla NYU di Abu Dhabi  per la cerimonia di apertura del CWMUN Emirates 2016

S.E. l'ambasciatore Liborio Stellino inaugura la terza edizione del CWMUN Emirates

S.E. l’ambasciatore Liborio Stellino inaugura la terza edizione del CWMUN Emirates

9 Novembre 2016

Ci siamo, si comincia. Venerdì pomeriggio nell’auditorium della New York University di Abu Dhabi comincia la terza edizione del CWMUN Emirates. Dopo il grande successo di iscrizioni per Emirates che ha fatto registrare il + 30 per cento di partecipazione rispetto all’anno scorso e dopo la chiusura dei corsi di formazione che si sono tenuti presso le varie sedi di Diplomatici, finalmente si parte. I lavori del Change the World Model UN Emirates si svolgeranno nel nuovissimo e bellissimo campus della prestigiosa New York University di Abu Dhabi e dureranno fino al 12 novembre.

Il focus del dibattito sarà dedicato agli equilibri in Medio Oriente. Nei giorni scorsi il Ministero degli Esteri ha concesso il patrocinio dell’evento, e tutto è ormai pronto per la cerimonia di apertura della conferenza di venerdì. Interverrà l’ambasciatore italiano ad Abu Dhabi Liborio Stellino, il presidente e fondatore di Diplomatici Claudio Corbino, il Presidente dell’International Board ed ex direttore del Sole 24 ore Salvatore Carrubba e il Goodwill Ambassador della nostra Associazione Marco Tardelli, indimenticabile campione del mondo di calcio che parlerà ai ragazzi proprio dei valori dello sport e del “fare squadra”. Dal 13 al 16 ci si sposterà tutti a Dubai per conoscere e ammirare una realtà economica e produttiva molto particolare del Golfo.

Due giorni ad Abu Dhabi per capire come funzionano le Nazioni Unite

INTERNAZIONALE

Bianca ha 13 anni e frequenta il liceo scientifico Leone XIII di Milano. Da grande vuole fare la pediatra. Rahzadie ha 15 anni, è nata in Australia da genitori colombiani. Frequenta la Cranleigh school di Abu Dhabi e vuole diventare una giornalista esperta di questioni umanitarie.

Anche Felix è un australiano trapiantato ad Abu Dhabi con la famiglia. Ha 13 anni e gli occhialetti tondi lo fanno somigliare a Harry Potter. Da grande vuole fare il diplomatico ed entrare in politica, ma vuole anche diventare giocatore di cricket e di basket. Oggi è molto impegnato a delineare la strategia diplomatica che il Venezuela deve tenere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Un compito molto complesso perché, come spiega lui con serietà, “il paese si trova in una situazione critica e deve cercare di restare il più possibile neutrale”.

Bianca, Rahzadie e Felix fanno parte dei 180 giovani tra i 14 e i 26 anni di varie nazionalità che a novembre hanno partecipato al progetto Change The World Model United Nations, organizzato dall’associazione italiana Diplomatici in collaborazione con la New York University di Abu Dhabi.

Due giorni in cui i ragazzi riproducono il funzionamento degli organi delle Nazioni Unite. Ognuno di loro rappresenta un paese e cerca di promuovere le sue istanze e i suoi interessi sullo scacchiere internazionale. Discutono di sicurezza informatica, di potenza nucleare, ma anche del conflitto siriano, dell’affermazione del gruppo Stato islamico, del ruolo della diplomazia globale, propongono mozioni, prendono la parola, votano risoluzioni.

Fuori delle aule climatizzate e oltre le mura del campus di 450mila metri quadrati della New York University, inaugurato nel maggio del 2014 dopo quattro anni di lavori, si stende il deserto.

La zona di Saadiyat Island, dove sorge il campus, si trova lungo la costa appena fuori Abu Dhabi. In lontananza si scorgono i profili dei grattacieli che arrivano fino al lungomare della città e intorno ai ventuno edifici che compongono il campus è pieno di cantieri, gru, camion che trasportano materiali.

Il governo ci tiene molto a rispettare la scadenza del 2020 fissata nell’ambito di un progetto da quasi 25 miliardi di euro per trasformare questo lembo di deserto in un complesso commerciale, residenziale e ricreativo dove dovrebbero essere costruite anche le sedi dei musei del Louvre e il Guggenheim. Per ora la strada che arriva al campus finisce contro un muro e torna indietro.

L’inaugurazione in pompa magna dell’università, cui ha partecipato anche l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, e l’iscrizione per l’anno accademico 2015-2016 di oltre novecento studenti di più di cento paesi del mondo hanno cercato di mettere a tacere le polemiche scoppiate dopo le inchieste del New York Times e del Guardian sulle dure condizioni di vita degli operai impiegati nella costruzione del campus.

I ragazzi che hanno partecipato al progetto Change the world model United Nations ad Abu Dhabi, Emirati Arabi Uniti, novembre 2015. – Francesca Gnetti I ragazzi che hanno partecipato al progetto Change the world model United Nations ad Abu Dhabi, Emirati Arabi Uniti, novembre 2015. (Francesca Gnetti)
Anche se il paese ospite non è un campione di apertura al dialogo culturale e di rispetto dei diritti umani, i ragazzi che partecipano al programma Change the world parlano di questioni spinose e delicate senza censure e nel rispetto reciproco.

Ragazze di Abu Dhabi con il capo coperto siedono accanto alle loro coetanee di Catania in minigonna, perché, come sostiene Morgan Whitfield, insegnante di storia e geografia alla Cranleigh school di Abu Dhabi, “i ragazzi nel profondo sono tutti uguali, ci sono più analogie che differenze”. Durante il laboratorio formativo i ragazzi si confrontano e acquisiscono quelle soft skill, come la capacità di parlare in pubblico, di lavorare in gruppo e di esprimersi in una lingua straniera, che troppo spesso restano fuori di programmi scolastici.

Ma soprattutto “imparano il rispetto per gli altri, il rispetto per le culture diverse dalla propria”, spiega Claudio Corbino, presidente dell’associazione Diplomatici e fondatore nel 2011 del progetto Change the world, che a marzo porterà per il quinto anno di seguito circa duemila ragazzi al palazzo di vetro delle Nazioni Unite a New York.

Un progetto “nato per sbaglio”, come dice Corbino che nel 2000 era uno studente di giurisprudenza all’università di Catania e per caso ha partecipato a New York a un Model United Nation, una conferenza in cui sono simulate le assemblee dell’Onu. “Una volta arrivato lì mi sono accorto che era un mondo fantastico, un vero laboratorio delle scienze umane”.

Così, rientrato in Italia, Corbino ha deciso di creare un’associazione in grado di far precedere la partecipazione all’evento di New York da una formazione che unisse i contenuti alle capacità relazionali. Dopo dieci anni è nato il progetto Change the world, attraverso il quale l’associazione ha cominciato a organizzare un proprio evento a New York e, negli anni successivi, anche a Bruxelles, a Roma, ad Abu Dhabi e a Barcellona.

Abbracciare il mondo intero

Negli anni hanno partecipato migliaia di ragazzi da tutto il mondo. Il contatto con loro porta Corbino a definirli “una generazione di ragazzi con le palle”. Si tratta di una generazione “totalmente post ideologica, non gliene frega niente di aderire a una verità precostituita. È una generazione molto pratica, che vuole la concretezza, e che purtroppo è anche cinica, perché mancano i grandi ideali di riferimento, ma la colpa è nostra che non siamo più capaci di trasmetterglieli”, prosegue Corbino.

Anche Marina Novelli, preside del liceo scientifico Vitruvio Pollione di Avezzano, che ha accompagnato nove studenti ad Abu Dhabi, pensa che il cambiamento dei ragazzi ponga una sfida continua alla scuola, che a volte non è in grado di rispondere in modo adeguato. “Per questo motivo Change the world è utile al livello educativo, è importante per sollecitare degli interessi che poi sono coltivati in futuro. Consente ai ragazzi di ampliare i loro orizzonti e di abbracciare il mondo intero”, spiega Novelli.

“Ciò che è diverso attrae e qui c’è una grande sete di conoscenza”, commenta Salvatore, che ha vent’anni, studia giurisprudenza a Catanzaro e insieme al suo collega Giuseppe, di 19 anni, fa parte della commissione di peacebuilding. “È bello poter parlare con ragazzi che vengono da paesi diversi e farmi spiegare come vivono, qual è la loro religione e la loro cultura”.

Nell’aula del consiglio di sicurezza si sta discutendo dell’intervento delle Nazioni Unite in Siria. I delegati prendono la parola a favore e contro l’intervento, presentano emendamenti e li votano. Felix ascolta concentrato le opinioni degli altri ma alla fine si oppone alla risoluzione perché, spiega “non risolverebbe i problemi e si tornerebbe al punto di partenza”.

Emma, statunitense di 14 anni che da grande vuole fare la chef, invece è favorevole e il paese che rappresenta, la Spagna, sta cercando di creare un summit promuovere il dialogo tra paesi con posizioni divergenti. Alla fine la risoluzione passa. Gabriele, 18 anni di Catania e rappresentante della Malesia, è molto soddisfatto. Ha vinto la diplomazia. E i ragazzi escono dall’aula parlottando tra loro, i fogli degli appunti appallottolati in mano, lo zainetto in spalla.

Link all’articolo originale